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La sera dopo la tempesta(giornata ordinaria)

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La sera dopo la “tempesta”. (giornata ordinaria)

Parliamo del periodo:”dalla notte dei tempi”,e fino a più o meno,fine anni 60.
Il lavoro nei campi dei nostri nonni era all’inizio molto duro.Tutto si svolgeva manualmente,i più “fortunati”possedevano qualche pariglia di buoi,qualche animale da soma,soprattutto asini e muli, che con l’ausilio dell’aratro rendeva il loro lavoro meno faticoso.Poi con l’avvento delle nuove tecnologie, soprattutto trattori e trebbiatrici,un pò tutto il mondo contadino ne giovò.Non si videro più,infatti,nelle aie vicino alle masserie,giostre di buoi , trainare stanchi e con in bocca un filo di bava , quella grossa pietra piatta e rigata ,chiamata “Tufo”;sempre con moto circolatorio, su cumuli di spighe di grano maturo distese sull’aia,era la cosiddetta “trebbiatura di una volta”. Come un sogno,ma ricordo bene che: mio nonno Michele Miele,classe 1897,in località “Pescara”di Rapone,all’inizio,tanti anni fa,faceva appunto così.Poi arrivò la tecnologia e con lei la trebbiatrice. La prima trebbiatrice,che noi chiamavamo “trebbia”,arrivò a Rapone all’inizio degli anni 50(però sulla data esatta non riesco a essere più preciso,perchè mi manca l’optional della precisione),ad opera del compianto sig.Francesco Tuozzolo(mast.Francis-c),che noi tutti abbiamo avuto la fortuna di conoscere.Era una trebbiatrice molto piccola,rispetto a quelle che sono arrivante in seguito,ed era trainata dai buoi.Certo,raggiungere la varie masserie e aie , e la mancanza di strade adatte, rendeva il suo spostamento abbastanza problematico.
Per le nostre madri e per i nostri nonni,e di riflesso anche per la mia generazione,dopo aver lavorato duro nei campi,la giornata non era ancora finita.Bisognava ritornare in paese a Rapone,qualche km a piedi e forse tutto era finito;…non era proprio così!
Per il viaggio di ritorno : si radunavano gli animali,si “attrezzava”l’asino o il mulo con la “vard”(sella),la si rendeva stabile sul dorso tramite una fascia che si chiamava”u straccua-l”(sottopancia),poi si mettava la fascia pettorale e sulla testa si infilava “a capezza”;naturalmente quasi mai alla “vard”mancavano i quattro pezzi di corda che si chiamavano “iaccu-l”, che servivano per caricare qualunque cosa .Molto più facile era riportare a casa le capre,infatti quasi sempre rimanevano per tutta la giornata con la”zo-ch”(fune) attaccata al collo,quindi bisognava solo andare a liberarle vicino a qualche albero o vicino a qualche “stoccjh” (paletto conficcato per terra).Dopo aver terminato le operazioni per il rientro, mentre cominciavamo a muovere i primi passi,quasi sempre,bisognava tornare indietro perchè era stato dimenticato qualcosa fuori:una volta “u margiott”(zappa),una volta “a faucjh”(falce),una volta non è stato chiuso “u purtu-s”(buco) da dove uscivano i polli dal pagliaio o dalla masseria,insomma ! ce n’era sempre una ! Finalmente poi i nostri avi e me compreso,ripercorrevano la via del ritorno. Già da lontano, fra le grandi ombre della sera,si potevano scorgere altre famiglie che percorrendo le varie strade“carra-r”,chi con animali,chi senza,tornavano stanche alla “base”.Sembrava un presepe d’altri tempi! Spesso ci si incrociava e si proseguiva insieme fino a Rapone,parlando quasi sempre del lavoro fatto o da fare,quanti tomoli di grano, di patate, o di quant’altro si era riuscito a produrre.I bambini seguivano in silenzio loro, e le loro discussioni.
Arrivati a casa bisognava “sistemare”gli animali nelle stalle.Chi possedeva una capra(come il sottoscritto,ma in età adolescenziale),doveva poi andare prima a mungerla,ovvero, portarla quasi sempre allo”jazz”(raggruppamento in un recinto),almeno a Rapone,solo virtuale,cioè,si raggruppavano varie capre e in accordo con i proprietari,a turno,si mungevano a volte per una famiglia,a volte ,per l’altra.Quasi tutte le stalle avevano fuori dalla porta e conficcato nel muro adiacente un grosso anello di ferro(“catniedd “ ), nel quale si inserivano appunto ” r zoch”degli animali per tenerli a bada, per mungerle ,o in attesa che la stalla fosse “pronta”.Di questi “aggeggi"è pieno Rapone. Questa cooperazione solidale,permetteva una maggior produzione di formaggio e minori costi di produzione ,poichè con il latte di una sola capra si poteva fare ben poco,era più il fuoco sprecato! Sistemati gli animali,bisognava cucinare per mangiare”lauti pasti”(magari!),ma spesso succedeva che non c’erano neanche i fiammiferi per il fuoco;un rapido sguardo per scrutare nelle vicinanze qualche camino(“cacciafu-m”) fumeggiante e…voilà! con la paletta di ferro che ogni famiglia raponese aveva vicino al proprio camino(a“furnacell”),si percorreva velocemente la distanza che separava la propria casa da quella da cui fuoriusciva il fumo ,si bussava, e il proprietario a quella richiesta di avere un pò di carbone acceso(“ nu tuzzo-n”) non diceva mai di nò,anche perchè, in seguito poteva capitare il contrario e con i ruoli invertiti.La solidarietà era fondamentale in quel tipo di società.Durante la cena,almeno da piccolissimo,non ricordo che ognuno di noi mangiasse sempre nel proprio piatto,non ricordo che c’erano a disposizione di tutti, nè posate di diversi tipi,nè tovaglioli per ognuno di noi.Si mangiava spesso in un unico piatto(“spa-s”),si usavano le poche stoviglie e posate e se non bastavano si ricorreva anche al” fai da te ”;spesso bastava un pezzo di canna, di quelle che servono per le vigne, e … con due colpetti con il coltello ,alè! la forchetta era pronta!
Dopo la cena la stanchezza si faceva sentire,il sonno era inclemente,nel paese si sentivano pochissimi rumori.Non era solo calma apparente! Dopo la “tempesta”,la quiete, aveva preso finalmente il sopravvento!
Mi piacerebbe:
Mi piacerebbe che quelle scene si ripetessero ancora,mi piacerebbe che insegnassero ancora qualcosa,mi piacerebbe che quel mondo venisse apprezzato e ricordato anche da altri e non solo da mè. Rapone ha insegnato qualcosa a tutti noi.
Dimenticavo!.:.il mattino dopo ,tutto ricominciava,tutto era come prima,tutto si ripeteva,tutti speravano in un giorno migliore.

Gerardo Miele

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